rivalutazione contributi pensione
La rivalutazione dei contributi per la pensione è un processo che permette di adeguare il montante contributivo al costo della vita. I contributi di ogni singolo lavoratore, sia esso dipendente che autonomo, sono infatti soggetti ad apprezzamento nel tempo costituendo la base sulla quale viene poi calcolata la rendita. Il fatto che si lavori o meno non interrompe la rivalutazione dei contributi versati nel relativo fondo pensione gestito dall’Inps. I contributi pubblici obbligatori utili alla pensione finiscono in un fondo gestito dall’Inps o altre casse pensionistiche e concorrono alla formazione di quel tesoretto, chiamato montante contributivo, sul quale verrà calcolata la pensione. Ma solo al momento in cui scatta il diritto al raggiungimento dei requisiti anagrafici e contributivi stabiliti dalla legge. Nel frattempo questi soldi accantonati, alla stregua di un libretto di risparmio, stanno lì e si rivalutano di anno in anno in base all’inflazione.
Come avviene la rivalutazione dei contributi per la pensione
Più esattamente, la rivalutazione dei contributi per la pensione è un meccanismo che serve a mantenere il potere d’acquisto dei contributi versati dai lavoratori nel corso della loro vita lavorativa. Si applica al montante contributivo, che è la somma di tutti i contributi versati dal lavoratore, e serve a calcolare l’importo della pensione.
In Italia, la rivalutazione dei contributi è stabilita dall’Istat, che ogni anno pubblica un coefficiente di capitalizzazione. Questo coefficiente viene applicato al montante contributivo acquisito al 31 dicembre dell’anno precedente per calcolare il montante contributivo rivalutato, che sarà utilizzato per ottenere l’importo della pensione. Il montante è rivalutato annualmente sulla base del tasso di capitalizzazione risultante dalla variazione media quinquennale del Pil.
Nel 2023, il coefficiente di capitalizzazione è stato pari a 1,023082, che corrisponde a una rivalutazione del 2,3%. Pertanto, chi andrà in pensione nel 2024 avrà una rivalutazione del 2,3% del montante contributivo acquisito al 31 dicembre 2022.
Ad esempio, se un lavoratore ha un montante contributivo di 100.000 euro, dopo la rivalutazione del 2,3% questo aumenterà a 102.308,20 euro. Il che significa che l’importo della sua pensione sarà calcolato su un montante contributivo più elevato, e quindi sarà leggermente più alto.
Dai contributi alla pensione
Detto questo, come si ottiene la pensione? Per ottenere l’assegno, si applica al montante contributivo opportunamente rivalutato il coefficiente di trasformazione che trasforma il capiotale in rendita. Cioè una percentuale stabilita dalla legge e commisurata con l’età anagrafica del lavoratore. Il montante contributivo si trasforma quindi in rendita pensionistica per tutta la durata della vita del beneficiario. Naturalmente, detto coefficiente sale in base all’età anagrafica. Vale a dire che la pensione sarà maggiore quanto minori saranno le aspettative di vita del lavoratore che va in pensione. Questo discorso vale solo per la parte contributiva del montante e in regime di calcolo contributivo della pensione. Per i versamenti effettuati prima del 1996, il sistema di calcolo è retributivo e si applica un diverso metodo di calcolo. Si parla in questo caso di pensione liquidata col sistema di calcolo misto, dove la parte retributiva non fa riferimento al montante contributivo, ma al livello di stipendio percepito e rivalutato negli ultimi anni di lavoro svolto.
Riassumendo…
- I contributi obbligatori per la pensione sono soggetti a rivalutazione periodica annuale.
- La rivalutazione è calcolata in base alla variazione quinquennale del Pil.
- Il montante contributivo si trasforma in pensione applicando il coefficiente di trasformazione.
L’articolo I contributi versati per la pensione vengono rivalutati anche quando si smette di lavorare? proviene da Fisco – Investireoggi.it.
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