“Ma quali fascisti: gli esuli di Fiume erano italiani”
Figlio di esuli fiumani, Umberto Smaila porta nella propria storia famigliare le tracce di quel drammatico passato. E le testimonia appassionandosi, quasi a voler tenere viva la memoria di un tempo assoggettato per troppi anni a un ingiusto oblio. Alla vigilia del Giorno del Ricordo, il popolare cantante e intrattenitore non ha abdicato a questa personale missione e anzi, al Giornale.it ha spiegato l’importanza di una commemoriazione fedele alla realtà storica e priva di negazionismi.
Nelle scorse ore, il presidente La Russa auspicava un suo intervento a Sanremo per parlare delle foibe. Le ha fatto piacere questo appello?
“Sì. Preciso però che, più dell’argomento foibe, io conosco bene la vicenda dell’esodo dei fiumani. I miei genitori furono esuli in un campo profughi per alcuni anni, poi trovarono una sistemazione a Verona, dove sono nato io. Tutti gli anni, sin dalla prima adolescenza, tornavo a Fiume a trovare i miei parenti rimasti là. Sono molto legato a quei luoghi, che conosco molto bene, anche per una questione affettiva e famigliare”.
La sua famiglia ha vissuto anche il dramma delle foibe.
“Il cugino di mio padre fu infoibato. Lui era andato con i partigiani ma, non essendo croato né per la Jugoslavia, fu gettato nelle foibe come capitò ad altri”.
Il presidente Mattella ha detto che sulle foibe si formò “un muro di silenzio e di oblio, un misto di imbarazzo, di opportunismo politico e talvolta di grave superficialità”. Lei lo ha sperimentato?
“Sì, anche perché nel tempo c’è stata sempre meno applicazione nello studio della storia. Per cui pochi sanno veramente cosa sia successo, soprattutto tra le nuove generazioni. Ci sono state le vicende di Trieste e di Fiume, storie molto complicate: era la fine della guerra, c’erano i patti con gli alleati… Quelle terre sono state date all’ex Jugoslavia in cambio del presunto aiuto che Tito aveva dato agli alleati, fregandosene degli italiani che vivevano lì e che volevano essere italiani, come dimostra il fatto che se ne andarono per non restare sotto Tito. Riflettere oggi su quegli eventi può aiutare a capire meglio cosa sia successo davvero”.
Una risoluzione Ue equipara il comunismo al nazifascismo, eppure permangono i doppiopesismi nella lettura della storia.
“Purtroppo è così. Visto che siamo parte in causa, vorrei precisare che né io né la mia famiglia siamo mai stati fascisti. Il grandissimo equivoco sta nel fatto che gli italiani che volevano rimanere tali vennero bollati come tutti fascisti: non è così. Volevano solo essere italiani. Un episodio mi fa sempre riflettere: quello del treno degli esuli che nel 1947 arrivò a Bologna, città notoriamente di aspirazioni comuniste, e venne preso a sassate”.
Oggi a molti artisti viene chiesto di dichiararsi “antifascisti”. È accaduto anche a Sanremo. Che ne pensa?
“C’è molta confusione e poca precisione. E soprattutto poca conoscenza della storia. Questo però fa parte di un movimento che si sta sviluppando e che comprende anche la cancel culture, il movimento femminista esasperato, e tutto un modo di pensare politicamente corretto che ha contagiato anche il mondo dello spettacolo. Tutto rientra in questo momento storico in cui, data la grande approssimazione culturale, si arrivano a buttare giù anche i monumenti di Cristoforo Colombo, dicendo che era uno schivista. E bisogna stare anche molto attenti a come si parla, perché alla prima parola fuori posto ti dicono che sei fascista. Anche se non lo sei”.
Manca ancora uno sguardo pacificato sulla storia?
“C’è un negazionismo esasperato su certi momenti storici come quello dell’esodo fiumano. E anche sul presente fatichiamo ad andare d’accordo”.
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