Valentina, la soldatessa ucraina: «Ho con me sempre una bomba. Se mi catturassero i russi, mi farei saltare»

DAL NOSTRO INVIATO KHARKIV — «Al fronte ho sempre in tasca una granata. Se i russi dovessero provare a catturarmi la farei esplodere: così la mia morte non sarebbe inutile, ne porterei qualcuno con me». Valentina Druz lo dice solo alla fine della nostra intervista, quasi un sussurro. Non c’è ostentazione, nessun preteso eroismo. È un dato di fatto, lo racconta unicamente perché è vero. Ed è talmente abituata a convivere con la morte che non le sembra neppure una cosa tanto strana.

Il suo atteggiamento rammenta quello delle combattenti curde che si battevano a Kobane, in Siria, contro gli estremisti islamici di Isis nel 2014. Anche loro erano pronte a farsi saltare in aria se fossero state circondate. E alcune lo fecero davvero. «Temevano anche di essere violentate», le ricordo. «Succede anche con i russi, noi sappiamo benissimo che abusano e torturano i prigionieri contravvenendo alle convenzioni internazionali», replica.

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L’ho incontrata nelle trincee di prima linea, a poche centinaia di metri dalle postazioni russe, nella zona di confine che fa da cerniera tra la regione di Kharkiv e quella di Kupiansk verso il Donbass. Gracile, di statura bassa, i lunghi capelli castani raccolti sotto l’elmetto, sorridente, tranquilla sotto i bombardamenti e con lo sguardo determinato, dava l’impressione di essere esattamente dove aveva scelto di stare. Da quando sei soldato? «Ho scelto di fare la volontaria diciasettenne nel 2015, l’anno prima i russi avevano invaso la Crimea e parte del Donbass. Stavo finendo il liceo e sognavo di iscrivermi alla facoltà di medicina, per poi specializzarmi in chirurgia. Allora vivevo con mia mamma in un villaggio nel centro del Paese a ovest di Kiev. Lei ha divorziato molto tempo fa, ero ancora piccola, siamo solo noi due in casa e non avrebbe mai voluto una figlia soldato. Si era persino opposta a che partecipassi alle rivolte di Maidan a Kiev nel 2014 contro il nostro governo filo-russo. Ma, seguendo le cronache dell’invasione mi sono convinta che Putin non si sarebbe fermato. Ero certa che prima o poi avrebbe cercato di prendersi tutta l’Ucraina. Sapevo che il nostro esercito era debolissimo, non potevo delegare ad altri la difesa del Paese. Così, le ho fatto credere che andavo a Dnipro per iscrivermi a Medicina e invece mi sono presentata all’Accademia aeronautica. Alla mamma l’ho detto solo quando mi hanno accettata dopo gli esami di ammissione. Oggi sono tenente maggiore».

È stata la sua risposta a spingermi a chiederle un’intervista più lunga quando fosse passata per Kharkiv. Tre giorni dopo è arrivata puntuale nel ristorante dove ci eravamo dati appuntamento nel principale parco cittadino. Veniva direttamente dalla prima linea, si era alzata alle quattro di mattina per giungere in tempo. A differenza di tanti soldati, che in genere sono ben contenti di essere invitati a pranzo per variare la «sbobba» quotidiana cotta sulle cucine da campo, Valentina ha preso solo mezza tazza di tisana ai frutti di bosco. Quanto al parlare invece non ha avuto ritrosie. «Le prime lezioni non erano facili. Eravamo solo quattro ragazze su una settantina di studenti. Abbiamo dovuto studiare molta fisica, meteorologia e matematica», ricorda.

Si laurea nel 2021 e viene mandata nella zona dell’aeroporto militare di Mykolaiv, la cittadina tra Odessa e Kherson. Sembrava un tranquillo incarico nella routine di una base ben lontana dal fronte. Però all’alba del 24 febbraio 2022 è uno dei primi luoghi violentemente attaccati dall’aviazione russa. I comandi di Mosca bombardano aeroporti, caserme, stazioni radar, depositi di munizioni, mirano mettere velocemente in ginocchio la logistica ucraina. Ma il capo di Stato maggiore, quello stesso Valeriy Zaluzhni che adesso il presidente Zelensky vorrebbe sostituire creando tensioni e polemiche, nelle ore appena precedenti l’inizio dell’invasione ha ordinato di spostare gli aerei nelle basi minori.

«Abbiamo salvato i nostri caccia, ma noi nelle basi ce la siamo vista davvero brutta», racconta lei. Nei mesi seguenti partecipa alle battaglie per fermare le colonne russe in marcia verso Odessa. Vede i primi morti, non saranno certo gli ultimi. «Tanti miei compagni sono morti, molti come piloti abbattuti in missione», dice e parla di Ihor, un suo amico ucciso nei combattimenti di Kherson l’estate scorsa. «A decine sono caduti, non li conto più. Ho pianto tanto quando ho saputo della fine di Misha Sherman, che aveva 26 anni e ci volevamo bene. È bruciato nel suo aereo. Noi del nostro corso eravamo come una grande famiglia», continua.

Da oltre un anno sta sul fronte orientale. Non vuole figli, un compagno, una casa? «Non ora. Non vorrei dei bambini che avessero paura come me delle bombe, che siano costretti a scappare nei rifugi, o non possano andare a scuola a causa degli allarmi. Prima dobbiamo vincere, non abbiamo scelta se vogliamo restare liberi e avere esistenze normali. Avrò figli solo dopo la nostra vittoria», dice ancora. Della nuova legge in questo momento dibattuta al parlamento di Kiev, che vorrebbe imporre regole più strette sulla leva per trovare nuovi soldati, Valentina sostiene debba essere rigida.

«Non c’è dubbio che ci servono più combattenti. E i renitenti alla leva vanno trattati come traditori. Tutti devono fare la loro parte», commenta. Resta convinta della necessità che Zaluzhny debba restare al suo posto. «In questo momento ogni cambiamento ai comandi delle forze armate sarebbe deleterio», afferma. Si sente Europea? «Assolutamente sì, certamente non sono russa. Anche se non sono mai uscita dall’Ucraina. Amo le vostre libertà, la vostra democrazia. Non posso pensare di subire la dittatura di Putin». E se non bastassero le munizioni, se i russi riuscissero ad avanzare? «Allora combatteremo, moriremo sulle barricate. Voi europei dovreste aiutarci, altrimenti poi toccherà a voi di prendere il fucile».

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