Che fine hanno fatto le armi inviate in Ucraina?

che fine hanno fatto le armi inviate in ucraina?

Che fine hanno fatto le armi inviate in Ucraina?

Le armi inviate in Ucraina sono state “scarsamente monitorate”. A rilevarlo è un rapporto visionato dal New York Times che rileva come funzionari del Pentagono, diplomatici americani e di conseguenza omologhi ucraini, non siano stati in grado di seguire correttamente e controllare in modo “rapido o completo” le quasi 40mila armi inviate “al fronte” per sostenere lo sforzo bellico in risposta all’aggressione russa.

Questa scomoda verità potrebbe alimentare le “leggende” secondo cui alcune delle armi inviate in Ucraina potrebbero essere state trafugate o rivendute per essere poi impiegate da altre entità in altri teatri di scontro. Secondo l’ispettore generale del Dipartimento della Difesa statunitense, tuttavia, il rapporto stilato dal Pentagono non offre alcuna “prova” che le armi siano state realmente rubate e utilizzate in modo improprio dopo essere state spedite dagli arsenali degli Stati Uniti ad un “hub logistico militare statunitense in Polonia” per poi essere “inviate sui campi di battaglia dell’Ucraina”.

“Era oltre lo scopo della nostra valutazione determinare se vi sia stata una deviazione di tale assistenza”, viene affermato nel rapporto visionato dal quotidiano newyorkese, questo non esclude l’ipotesi paventata in passato, che in un momento delicato potrebbe tornare a galla tra detrattori degli aiuti alla “causa ucraina” e complottisti. La percentuale di armi “scomparse” o mancanti nei database governativi “può aumentare il rischio di furto o diversione” e il continuo aggiornarsi di forniture e tipologie di armamento non ha certo “facilitato” né faciliterà il monitoraggio.

Miliardi di dollari e armi sofisticate

Nell’inventario delle armi inviate dagli americani, oltre alle piattaforme più preziose e difficilmente trascurabili nel loro spostamento, come i sistemi missilistici Patriot o i carri armati M1 Ambrams, c’erano oltre un miliardo di dollari di missili spalleggiabili e annessi lanciatori, droni kamikaze e sofisticati sistemi militari per la visione notturna. Tutta merce preziosa e letale che potrebbe essere finita preda di uomini senza scrupoli prestatisi al contrabbando in cambio di denaro. Una spiacevole ipotesi che viene sollevata proprio ora che il Congresso degli Stati Uniti sta valutando se aumentare o diminuire il flusso di armi per supportare la campagna ucraina. Una campagna militare che sembra essersi ridotta ad una sanguinosa guerra di posizione da inizi Novecento, distante dal conseguimento di successi strategici rilevanti.

Gli esperti del Pentagono, che conoscono le tattiche, hanno valutato negli anni il campo di battaglia e di conseguenza deciso quali armi fornire alle truppe di Kiev per arginare prima – nel 2017 si parlava già di 750 milioni di dollari di armamenti – e respingere poi l’aggressione della Russia, hanno fornito all’Ucraina più di 10mila missili anticarro Javelin (già presenti del 2018, ndr), almeno 2.500 missili terra-aria Stinger, circa 750 loitering munition del tipo Switchblade, e diverse centinaia di missili aria-aria a medio raggio di valore elevato.

Poco personale, dieci anni e nessuno in prima linea

Si scopre soltanto ora però che “le pericolose condizioni di combattimento” hanno reso reso “impossibile per i funzionari del Dipartimento della Difesa” svolgere in alcune fasi il corretto monitoraggio dei flussi di armi. Soprattutto una volta giunte in zona operazioni. Per i funzionari addetti al monitoraggio “recarsi in prima linea” per assicurarsi che le armi venissero utilizzate come previsto era considerato decisamente pericoloso. A questa condizione quanto mai peculiare, si aggiungerebbe poi la scarsità di personale del Pentagono presso l’ambasciata statunitense di Kiev. Spiega il rapporto.

Al centro del rapporto è finita solo una piccola parte dei sostanziosi aiuti militari che Washington ha concesso a Kiev in dieci anni. Esso si concentra infatti su 1 miliardo dei 50 miliardi totali di attrezzature militari che gli Stati Uniti hanno inviato all’Ucraina dal lontano 2014. L’anno che ormai viene ufficialmente riconosciuti da quanti hanno seguito la storia come inizio del conflitto tra Kiev e Mosca. Un conflitto che allora prevedeva combattimenti a bassa intensità, e si concentrava in Crimea e nel Donbas.

I sistemi d’arma più importanti come carri armati, mezzi blindati, artiglieria di grosso calibro e sistemi missilistici per la difesa aerea, non possono sparire con facilità né essere piazzati sul mercato nero, talvolta non possono addirittura essere impiegati correttamente senza addestramento o logistica, ma i sistemi singoli, facilmente utilizzabili da organizzazioni terroristiche e paramilitari, sono un “tesoro” per i signori della guerra che potrebbero rivenderli ad entità pericolose come i sempre più intransigenti armed non-state actor. I quali potrebbero addirittura impiegargli un giorno contro la stessa potenza che li aveva inviati per combattere un “avversario” teorico o comune. I miliziani irregolari dell’Afganistan ce lo hanno dimostrato già due volte: negli anni ’80, dopo l’aiuto della Cia per cacciare i russi, e nella recente ritirata da Kabul.

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